Antologia

L'orologio

[...] Il vento veniva da levante e la mia stanza da pranzo era riparata: tenevo tutto il giorno le porte aperte. Ragion per la quale la parte occidentale della casa era particolarmente simpatica agli indigeni; ci passavano sempre davanti per restare in contatto con la vita che vi si svolgeva. Per il medesimo motivo i pastorelli portavano là intorno le loro capre lasciandole pascolare sul prato. Quei bambini, sempre in giro per la fattoria in cerca di un pascolo per le greggi, erano in qualche modo il legame fra la vita della mia casa civilizzata e la vita selvatica di fuori. [...] Il simbolo principale, ai loro occhi, era un vecchio orologio a cucù tedesco appeso al muro in stanza da pranzo. [...]

Ogni ora, il cucù spalancava la porticina circondata da un'aureola di rose rosse lanciandosi avanti per dar l'annuncio con la sua voce chiara e insolente. La sua apparizione era ogni volta un piacere nuovo per i bambini dela fattoria. Quando, dalla posizione del sole, vedevano che mancava un quarto a mezzogiorno, cominciavano ad avvicinarsi alla casa; venivano da tutte le parti, spingendo innanzi le greggi per non abbandonarle sole. Le loro teste spuntavano insieme a quelle delle capre fra i cespugli e l'erba alta, come rane che nuotano in uno stagno. Lasciate le bestie sul prato, entravano nella stanza senza far rumore, a piedi nudi. Ce n'erano di tutte le età, dai due ai dieci anni. Si comportavano benissimo, osservando una specie di cerimoniale di loro invenzione, che si riduceva a questo: potevano andare dove volevano, ma non dovevano toccare nulla, non si dovevano mettere a sedere e non dovevano aprir bocca se non venivano interrogati. Quando il cucù si scagliava verso di loro, una grande ondata di estasi e di risate represse li percorreva. A volte qualcuno dei più piccoli, dimentico dei suoi doveri, arrivava di mattina presto, solo soletto, contemplava a lungo l'orologio ora chiuso e silenzioso rivolgendogli una cantilena monotona, una specie di dichiarazione d'amore in kikuyu, per poi riandarsene con aria solenne. I miei servi li prendevano in giro: quei pastorelli erano talmente ignoranti, mi confidavano, da credere che il cucù fosse vivo. [...]

(da "La mia Africa" Karen Blixen)

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